Regia e Drammaturgia: Roberta Spaventa
Con: Cristina Carbona, Francesca Iacoviello, Santo Marino, Michela Rosa
Disegno luci: Santo Marino
Sound Designer: Kheyre Walamaghe
Costumi: Cristina Carbone
Due bambine, due donne, percorrono i fili della loro infanzia tra antiche cantilene e pianti ininterrotti, trovandosi in un’adolescenza fatta di illusioni e speranze romantiche.
Le loro sagome, delineate da giochi di luce e di ombra, danzano nel percorso della vita a ritmo spezzato, vittime di un sentire amputato, a volte violento.
Cercano di definire il carattere, la propria identità, alla ricerca di una consapevolezza spesso faticosa, fatta di continui movimenti verso l’esterno, verso l’Altro.
Ma l’Altro è Barbablu, un mago mancato, che per avvicinarsi troppo al sole ha bruciato le sue ali, cadendo rovinosamente al suolo.
L’incontro potrebbe essere fatale. La donna rimane abbagliata dal magnifico, un’ironia pungente e contagiosa che Barbablu sfoggia con esilarante savoir faire.
La domanda che aleggia costante riguarda quella sua misteriosa qualità: il colore blu della barba, che la sposa ritiene non essere poi cosi blu.
In una scena delineata da un’attesa pesante ed inquietante, Barbablu appare nel suo essere più fascinoso e al contempo pericoloso: un cantore di altri tempi con doni e gioielli preziosi.
La curiosità delle due donne si fa coinvolgimento affettivo e desiderio carnale,nonostante quella barba non smetta mai di scintillare: tra partiture fisiche e stridenti vocalizzi il rapporto amoroso cede, cosi, ad una violenza di fondo, sebbene si intraveda una ferita lacerante.
Il corpo di Barbablu si dimena, acquisendo sembianze quasi bestiali, per poi ricomporsi austeramente e compiere il rituale fatidico: la mattanza.
Le due donne, parti diverse di un unico femminile, potranno affrontare la dura realtà? Aprendo la porta proibita saranno in grado di sostenere la visione?