Zerogrammi

di e con Stefano Mazzotta, Emanuele Sciannamea | luci Stefano Mazzotta, Chiara Guglielmi | costumi e oggetti di scena

C.ie Zerogrammi | musica E. Satie | produzione C.ie Zerogrammi.

 

Due orsacchiotti di pezza e una Barbie con la testa attaccata con lo scotch per trastullarsi in un surreale Dejeuner Sur l'Herbe che pare dipinto da Jacques

Tati. Giocare seriamente quando il gioco diventa l'unica cosa seria che ci può salvare dalla seriosità della vita. Giochi di due Candide tra Cochi e Renato e

Stanlio e Ollio al teatro di Marcel Marceau e Merce Cunningham vestiti come teneri matti del paese coi berretti, quelli col paraorecchie da pilota della

grande guerra in tempo di pace. Cappelli per volare senza staccarsi da terra. Tutt'al più planare a motore spento portati dall'aria, facile come una

domenica mattina. "Zerogrammi": ovvero una danza senza peso. Leggera. Danza per volare, del volo senza decollo di cui abbiamo detto, e poi planare e

planare un'altra volta sulla vita quotidiana, quella delle piccole cose di cui non ci si deve dimenticare. Ricordarsi di respirare. Planando portati dal vento

delle nostre leggerezze. Due clown di uno spettacolo leggero come un amore all'inizio, lieve come il vento più dolce di una serata di primavera di quando

c'erano ancora le mezze stagioni: bello e delicato come quel qualcuno che ognuno di noi ha, o aspetta, per i momenti belli e senza pensieri. Quei momenti

senza il cui ricordo non potremmo vivere. (Sergio Gilles Lacavalla)

 

(note sulla drammaturgia)

 I bambini giocano, si divertono, fanno e disfano, a volte sanno essere molto crudeli. Ma anche questa crudeltà è parte di una

relazione al mondo non ancora deviata dagli schemi mediati (e mediali) imposti dalla società. Esplorando ciò che li circonda riescono ancora, per un lasso

di tempo molto breve (e che purtroppo va diminuendo) a guardare le cose percependone la forma e il colore prima che la funzione. In questo modo l'esperienza della vita è totale, non esclude mai la poesia che è insita in ogni cosa,

perché non è distratta dalle indifferenze, dalle miserie delle professioni che appartengono solo all'universo adulto. Il mondo agli occhi dei bambini è semplice e leggero, ed è a questa leggerezza che I due personaggi improbabili di “Zerogrammi”ambiscono con una certa nostalgia. L'infanzia, la sua “ricchezza squisita, quello scrigno regale”. La struttura di questo lavoro si inquadra perfettamente nel genere della buddy comedy, quella dei due protagonisti complementari e in eterno conflitto, da Stanlio e Ollio a Tom & Jerry, dove il racconto si svolge senza bisogno di parole, poiché sono la drammaturgia di gesti maldestri, le espressioni di domanda e di risposta, i giochi dalle regole non dette, a raccontare la storia di questi due goffi “Marcovaldo” alla scoperta del mondo. Ispirati al personaggio calviniano, i protagonisti di “Zerogrammi”, creature “spaesate” che, a volte, sembrano provenire da un altro pianeta, si ostinano a lasciarsi distrarre, ammaliare dai più piccoli e insignificanti particolari della realtà. Allo stesso modo la scrittura coreografica predilige un vocabolario che attinge a piene mani dal più piccolo ed insignificante gesto quotidiano, dipanandosi tra progetti di marachelle e giochi improvvisati, rincorse comiche e trovate dispettose, per concludersi con un monito: quello di non trascurare mai le più semplici, leggere, infantili abitudini; ricordarsi se possibile, di giocare con le forchette a tavola ogni tanto. Fare dell' ingenuo, onesto stato infantile una legge morale e con orecchie aperte ascoltare e con occhi grandi guardare il mondo, provando, come bimbi che giocano con le formine, a mettere il triangolo nel quadrato e il quadrato nel cerchio, perché le cose sono spesso più profonde e di forme diverse da come le si vede. “Zerogrammi” è dunque il racconto del delicato passaggio dalla fanciullezza all'età adulta e ritorno. I protagonisti si presentano per quello che sono: due danzatori che, ultimate le presentazioni, svestono subito questi panni per ritornare indietro nel tempo in a una fanciullezza non meglio specificata e rivivere la magia delle scoperte, di sé e dell'altro. In cosa siamo simili a chi ci circonda? In cosa differiamo? I due protagonisti non si fermano a cercare la risposta, vivono attimo per attimo e, vivendo, la risposta arriva, inattesa, spiazzante, dolorosa a volte. In un continuo mutare di eventi che non cedono alla retorica, la relazione tra scena è pubblico è un costatante invito al gioco e alla vita.

 

Bestie

Bestie

Se un cucciolo d'animale si allontanasse dalla tana per venire in mezzo a noi, uomini e donne, se ci guardasse con i suoi occhi di bestia, se chiedesse i suoi perché di cucciolo che non capisce, se avesse paura di noi e scappasse e poi tornasse a svelarci un segreto, una storia che è la nostra storia...

Come una giostra che gira e gira, come un catalogo di brevi assurde storie, ridicole e terribili, paradossi del vivere contemporaneo. Uno spettacolo aperto, alla ricerca di domande. Per parlare di natura, di ecologia profonda, di speranza, di cuccioli, di qualcosa che può ancora accadere e, siamo sicuri, accadrà.

In collaborazione con ARPAL (Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente Liguria) 
che partecipa al progetto con i propri esperti di comunicazione e didattica ambientale per le scuole.

CON Danila Barone/Raffaella Tagliabue, Daniela Carucci, Francesca Luciani, Paolo Piano
REGIA  Antonio Tancredi

drammaturgia Simona Gambaro scene Simona Panella costumi Francesca Marsella maschere Roberta Agostini disegno luciFederico Canibus consulenza musicale Tristan Martinelli organizzazione Teatro del Piccione

Presentazione

brochure in pdf

Chi non conosce la verità é soltanto uno sciocco;
ma chi, conoscendola, la chiama bugia, é un malfattore.
(B. Brecht )

 

BESTIE 
è uno spettacolo che vuole riflettere sull'attuale ROTTURA DELL'EQUILIBRIO UOMO-NATURA.


Lo fa attraverso paradossi comici e forti immagini che non vogliono imporre risposte ma suscitare dubbi sui quali riflettere, da cui possano nascere in ognuno le domande necessarie, primo passo verso il cambiamento.  
Fuggendo la retorica della morale, lo spettacolo rimane aperto. Perché sia chiaro che solo con la consapevolezza personale e l'azione di tutti è possibile immaginare e praticare un nuovo stile di vita, che ci permetta di ritrovare l'equilibrio perduto, essenziale alla sopravvivenza dell'uomo sulla terra. 

Come una giostra che gira e gira, come un catalogo di brevi assurde storie, ridicole e terribili: ecco lo spettacolo. Quattro personaggi attraversano i quadri di un'esposizione che racconta per immagini il nostro mondo. In ogni quadro si fanno strada una crisi e una domanda. Dicono di tutto ciò che stiamo dimenticando mentre mettiamo le mani sulla terra che ci nutre, ci dà acqua, aria, casa. Ma c'è un tempo per demolire e un tempo per costruire, dice il libro. E adesso è il tempo di ricostruire. 
Ecco allora un cucciolo che osserva il mondo degli uomini.  Il suo è uno sguardo curioso e infantile ma altrettanto crudo ed impietoso. Le sue domande sono disarmanti nella loro semplicità, riescono a metterci a nudo di fronte alla follia di alcuni nostri modi di agire, pensare e vivere.

“Loro, che non sanno il sogno il desiderio
che mancano di mano che non hanno invenzione
d'intelletto, cure alle malattie. Loro, dai loro musi 
dai loro peli, piume, setole, squame, 
dai loro occhi guardinghi dai loro occhi liberi
dalle corse dai rami dal loro stare dentro la terra
dal loro cielo in volo dalla ferocia e innocenza
se loro, bestie, guadassero noi e ci sapessero parlare.”


SPAZIO DEL DIBATTITO 

Quello che vogliamo fare è offrire una visione poetica, emotiva, della problematica ambientale, che tratti il temi dal punto di vista etico-filosofico. Il messaggio veicolato dallo spettacolo non è di pura didascalia o nozionismo bensì necessita un'elaborazione personale e profonda per essere appreso.  

Riteniamo tuttavia molto importante offrire anche delle chiavi di lettura concrete, delle indicazioni di buone pratiche da coltivare quotidianamente per applicare una condotta ecologicamente corretta.
Per questo, parte fondamentale dello spettacolo è una DISCUSSIONE GUIDATA a fine rappresentazione (di durata indicativa di 30 minuti) che fornisca completezza scientifica alla visione.
A tale proposito il Teatro del Piccione si avvale della fattiva collaborazione dell'ARPAL (Agenzia Regionale Protezione Ambientale Ligure), che prevede tra le sue funzioni progetti di comunicazione e didattica ambientale.

 

IL PROGETTO

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre,
ma nell’avere nuovi occhi”
(M. Proust)


mettere in scena la nostra ricerca:
altro non riusciamo a fare se non comunicare il nostro smarrimento, il solo da cui può nascere qualcosa di nuovo, 
un nuovo pensiero, un nuovo ordine di valori, un nuovo stile di vita, nuovi occhi 
così lo spettacolo non racconta una storia ma un vuoto pieno di domande

non c’è linearità nello spettacolo, c’è rete e circolarità
associazioni, immagini che ritornano, si mescolano, evolvono

non c’è un giusto e uno sbagliato, né un principio enunciato:
non c'è una gerarchia di pensiero
c'è un passo indietro, un sottrarsi per lasciar affiorare

il legame profondo, fisiologico, con il mondo naturale di cui noi siamo parte integrante e interagente con tutte le altre parti che lo compongono, quel legame viscerale, fisico e spirituale, è ciò che vorremo portare alla coscienza
e non tanto ad una coscienza razionale, ma ad un riconoscimento ancestrale

a partire da questo mettere poi in gioco le nostre risorse intellettive, di esseri dotati di intelligenza,  capacità analitica, capacità di proiettare la nostra immagine nel futuro, per trovare le risposte pratiche, contingenti e urgenti al grave problema che incombe sulla nostra vita:
lo squilibrio nel rapporto uomo natura 
che, se non sanato, porterà noi e le future generazioni allo sfacelo

non può che essere un lavoro aperto
uno spettacolo che lascia un dubbio, 
il dubbio che poi non vada tutto così bene come vogliono farci credere

provoca altre domande
genitori e insegnanti, a loro continuare: come adulti abbiamo questa responsabilità

uno spettacolo che non mette un punto, vuol essere solo un seme
forse anche un seme dentro un percorso più ampio
nella ricerca di una forma per comunicare qualcosa di grande e complesso
come è complessa la rete della vita

allora, per ora, BESTIE

 

lettera aperta al pubblico

Per gli amici di TeTe Teatro Tempio e gli spettatori di Barnum a Modena 

AL TEATRO NON SI COMANDA

ovvero

Elena vs Elena

In questi mesi si sta realizzando a Modena un movimento molto interessante: gruppi diversi, di diverse provenienze, formazioni ed età si sono accordati, nel senso più armonico e musicale del termine, per creare un progetto di teatro, danza, musica, filosofia, spettacoli, laboratori  che attraversa molteplici spazi della città e che si fonda sulla ricerca della vitalità, dell’autenticità e della qualità delle ispirazioni e delle realizzazioni.

Così almeno è parso a me. Ho avuto il piacere  di essere invitata a partecipare a questo movimento da ben due formazioni, una con un’intensa e forte storia che già conoscevo e con la quale avevo più volte collaborato condividendo emozioni e intenti, Artistidrama, per la quale ho portato in scena nello spazio di Via Buonpastore Autobiografie di Ignoti lo scorso 8 novembre 2013 e una che non conoscevo ma la cui variegata natura, fresca dedizione ed entusiasmo mi hanno affascinato, Tete Teatro Tempio. Nel loro spazio terrò una serata su Leo de Berardinis, un laboratorio, ‘Creature’ e andrò in scena con ‘Barnum’, del quale alcuni di loro si innamorarono quando lo videro a Bologna, al Teatro delle Moline.

 

E arrivo al punto: Autobiografie di Ignoti e Barnum nascono da un’unica ricerca che ho cominciato diversi anni fa e che si aggira intorno alla creazione di ballate, storie e racconti a partire da improvvisazioni nate dall’osservazione della vita quotidiana, di biografie reali, di letture e illuminazioni che si mescolano con la musica ed il canto. Nel bar nel quale immagino di muovermi navigo anche nella mia stessa biografia, cercando di sciogliere i confini tra passato e futuro e di immedesimarmi nel romanzo irripetibile delle vite altrui.

Attraverso una continua trasformazione dei testi, dei ritmi, dei personaggi, pur  mantenendo una solido canovaccio, mi illudo di acchiappare, con gli strumenti della scrittura, del teatro e della musica, la mutevolezza della vita e le sue continue trascolorazioni.

Prima venne Autobiografie di ignoti e poi Barnum: era perfetto quindi incastonare la mia presenza a Modena nei due diversi spazi con due diverse fasi del mio lavoro.

Tutto questo avrebbe funzionato se non fosse stato per la natura libera e anarchica del teatro in improvvisazione: quando mi sono trovata davanti al pubblico della sala di Via Buonpastore, non sono riuscita a frenare l’irragionevole lucida follia del salto nel vuoto della creazione e ho immesso molti dei materiali di Barnum in quello che doveva essere soltanto il canovaccio di Autobiografie.

Ancora una volta ho  dovuto imparare l’umiltà: non sempre possiamo trasformare l’opera come vorremmo e come ci parrebbe giusto! I nuovi personaggi di Barnum hanno fatto irruzione nel vecchio bar di Autobiografie e hanno preteso di essere raccontati. Non ho saputo governare gli incandescenti materiali da me stessa distillati. Ho imparato ancora una volta che, come quel poco di talento che forse ho non mi appartiene, così anche l’invincibile desiderio di dare tutto quel che si ha nel momento nel quale si è davanti al pubblico non fa parte di una mia generosità, ma delle splendide regole del teatro.

Con queste righe voglio avvertire il pubblico che mi ha già visto l’8 novembre che, forse, se vorrà essere così gentile da tornare a vedermi, ritroverà in Barnum alcuni frammenti e ritratti che ha già visto nel lavoro presentato con il titolo di Autobiografie di Ignoti, progetto che testimonia anche del mio innamoramento per l’incoercibilità del fiume-vita. Allo stesso tempo potrà forse divertirsi nell’addentrarsi dei misteri dell’improvvisazione su canovaccio, ritrovando alcuni personaggi, ma visti sotto un’altra luce e raccontati con altre parole e incontrandone di nuovi, proprio come accade in certe misteriose serate, quando entrando in un locale ben conosciuto o in una casa di amici, si scoprono tratti inediti anche nelle persone che crediamo di conoscere meglio e incontriamo sconosciuti che ci pare di avere avuto accanto da sempre.

Mi scuso con chi mi ha ospitato e mi ospiterà per l’involontario scivolone, promettendo che, come il teatro vuole, farò tutto il meglio che potrò per accogliervi nel mio BARNUM, mutato dalla vita che scorre come lei ha voluto e vorrà.

 

Elena Bucci

 

Barbablù

Dal 17 al 22 Marzo, ore 21

Regia e Drammaturgia: Roberta Spaventa

Con: Cristina Carbona, Francesca Iacoviello, Santo Marino, Michela Rosa

Disegno luci: Santo Marino

Sound Designer: Kheyre Walamaghe

Costumi: Cristina Carbone

Due bambine, due donne, percorrono i fili della loro infanzia tra antiche cantilene e pianti ininterrotti, trovandosi in un’adolescenza fatta di illusioni e speranze romantiche.
Le loro sagome, delineate da giochi di luce e di ombra, danzano nel percorso della vita a ritmo spezzato, vittime di un sentire amputato, a volte violento.
Cercano di definire il carattere, la propria identità, alla ricerca di una consapevolezza spesso faticosa, fatta di continui movimenti verso l’esterno, verso l’Altro.
Ma l’Altro è Barbablu, un mago mancato, che per avvicinarsi troppo al sole ha bruciato le sue ali, cadendo rovinosamente al suolo.
L’incontro potrebbe essere fatale. La donna rimane abbagliata dal magnifico, un’ironia pungente e contagiosa che Barbablu sfoggia con esilarante savoir faire.
La domanda che aleggia costante riguarda quella sua misteriosa qualità: il colore blu della barba, che la sposa ritiene non essere poi cosi blu.

In una scena delineata da un’attesa pesante ed inquietante, Barbablu appare nel suo essere più fascinoso e al contempo pericoloso: un cantore di altri tempi con doni e gioielli preziosi.
La curiosità delle due donne si fa coinvolgimento affettivo e desiderio carnale,nonostante quella barba non smetta mai di scintillare: tra partiture fisiche e stridenti vocalizzi il rapporto amoroso cede, cosi, ad una violenza di fondo, sebbene si intraveda una ferita lacerante.
Il corpo di Barbablu si dimena, acquisendo sembianze quasi bestiali, per poi ricomporsi austeramente e compiere il rituale fatidico: la mattanza.

Le due donne, parti diverse di un unico femminile, potranno affrontare la dura realtà? Aprendo la porta proibita saranno in grado di sostenere la visione?

 

Dedicato a Leo: segni e sogni

30 marzo ore 21

Dedicato a Leo: segni e sogni.


per un teatro popolare di ricerca


Incontro con il pubblico

Racconti e pensieri intorno all'esperienza con Leo De Berardinis

a cura di Elena Bucci e Marco Manchisi

 

Chi, come noi, ha fatto parte del nucleo storico bolognese del Teatro di Leo di Leo de Berardinis non si è mai fregiato del titolo di erede.

Il linguaggio teatrale di Leo - inedito, originale, anarchico nel miscelare arti e saperi, soprendente nel creare indimenticabili immagini - era suo e soltanto suo e lo abbiamo sempre capito.

Unica e sulla stessa linea era anche la sua lezione agli attori: partiva dalla trasmissione degli strumenti tecnici della tradizione più antica per arrivare alla maieutica scoperta dell’originale essenza di ognuno di noi,  attraverso la relazione con l’improvvisazione, la scrittura scenica, la scelta di maschere e personaggi e l’invenzione di spettacoli e compagnie.

Leo ci voleva tutti diversi, attori autori incamminati per strade autonome ma anche capaci di condividere la scena secondo un uso di codici affini ed un ascolto che ci rendevano quasi telepatici.

Grande uomo di teatro e di contrasti non voleva eredi, ma antagonisti con i quali divertirsi a duellare, pur con forze e mezzi non comparabili.

In questa occasione non saremo, ancora una volta, per niente eredi, ma, con grande piacere, soltanto testimoni di alcune visioni di Leo che, folgoranti per tanti in passato, continuano a trasmettere fascino anche attraverso i rari segni rimasti, tanto potenti da trasformarsi in sogni.

E mentre scrivo, lo vedo che sorride, no, che un poco ci deride, con la bombetta in testa e il frac. Con il bastone ha appena fatto lo sgambetto a Marco Manchisi.

 Elena Bucci